Cerca |
|
|
|
Progetto
Ovidio - database
|
|
|
|
autore
|
brano
|
|
Cicerone
|
De Natura Deorum, I, 22
|
|
originale
|
|
[22] isto igitur tam inmenso spatio, quaero, Balbe, cur Pronoea vestra cessaverit. Laboremne fugiebat? At iste nec attingit deum nec erat ullus, cum omnes naturae numini divino, caelum, ignes, terrae, maria, parerent. Quid autem erat, quod concupisceret deus mundum signis et luminibus tamquam aedilis ornare? Si, ut [deus] ipse melius habitaret, antea videlicet tempore infinito in tenebris tamquam in gurgustio habitaverat. Post autem: varietatene eum delectari putamus, qua caelum et terras exornatas videmus? Quae ista potest esse oblectatio deo? Quae si esset, non ea tam diu carere potuisset.
|
|
traduzione
|
|
22. Ora vorrei che Balbo mi dicesse perch? mai per un cosi immenso periodo la vostra Provvidenza se ne sia
rimasta inattiva. Vo leva forse risparmiarsi una fatica? Ma un dio non pu? avere di queste debolezze, ne ci sarebbe stata
fatica alcuna, dal momento che tutti gli esseri erano Il pronti ad obbedirle, il cielo, il fuoco, la terra, i mari..5
Che ragione aveva la divinit? per alimentare in se un cosi vivo desiderio di abbellire il mondo con statue e
luminarie come un edile qualsiasi? Se l'ha fatto per migliorare la sua abitazione, dobbiamo concludere che in
precedenza era vissuto eternamente nelle tenebre come in un'oscura taverna. E supporremo dunque che in seguito si
compiacque di quella varia bellezza di cui vediamo risplendere il cielo e la terra? Ma che piacere pu? provare un dio in
cose del genere? Ammesso poi che lo provi, non avrebbe potuto restarne privo per tanto tempo.
|
|
|
|
tutto
il materiale presente su questo sito è a libera disposizione di tutti,
ad uso didattico e personale, non profit/no copyright --- bukowski
|
|
|